Milano Finanza: Azienda in crisi? È un business

Azienda in crisi? È un business
Il mercato si sta affollando in fretta: da 12 capital del tandem Intek-Intesa a Mqnagement&capitali di Cdb, da Atlantis sponsorizzato da Camuzzi e Calyon al fondo che sta studiando Gianmaurizio Argenziano.
Grazie alla nuova normativa di diritto fallimentare oggi gli investitori go- dono di una protezione ben maggiore di una volta quando si preparano a effettuare operazioni per salvare imprese in crisi. Non a caso c’è un grande interesse oggi sull’Italia da parte dei cosiddetti fondi di turnaround stranieri, mentre stanno nascendo anche fondi italiani specializzati. Certo, esistono ancora dei rischi, ma le opportunità legate a questo business sono evidentemente più forti.
Qualche numero. «Per ora il private equity è stato quasi assente dalle operazioni di turnaround. Sul fronte degli investimenti in equity, nel 2004 su un totale di circa 1;5 miliardi di euro, solo 32 milioni, e quindi circa il 2% del totale, sono stati investiti in dieci operazioni di turnaround, con una dimensione media di investimento compresa tra i 2 e i 3 milioni di euro tra il 2002 e il 2004. Gli attori del turnaround sono stati finora soprattutto privati e società che hanno operato in contesto di procedure concorsuali complesse, secondo schemi predefiniti (affitto di ramo d’azienda, concordato preventivo) e rischi relativi poco adatti alle tempistiche, ai cicli e ai requisiti propri degli investitori istituzionali private equity». Lo ha spiegato Gianmaurizio Argenziano, presidente della commissione tax&legal di Aifi, nel corso di un seminario sul tema organizzato di recente dall’associazione. E Argenziano ha studiato bene il mercato perché è interessato in prima persona.
Lo scorso giugno, infatti, ha lasciato Abn
Ambro capital per lanciarsi in una nuova
avventura proprio nel settore del turnaround. Secondo quanto risulta a MF, Argenziano sta sondando il mercato per raccogliere un fondo di dimensioni comprese
tra i 150 e i 250 milioni di euro, una dimensione considerata adatta per investire
nella media delle aziende italiane. E il fundraising potrebbe essere concluso nel giro
di un anno. Si tratterà di un fondo di turnaround senza una vocazione rigida, nel senso che potrà
prendere in considerazione aziende semplicemente non gestite al meglio fino ad aziende che si trovano in situazione di insolvenza. Tutto dipenderà dalle opportunità. Quanto alla possibilità di acquisire aziende in crisi acquistandone i debiti, sembra che Argenziano stia pensando a un accordo con un fondo internazionale specializzato. «Sul fronte dei cosiddetti distressed assets, cioè dei crediti erogati ad aziende ora in stato di crisi, i portafogli più importanti sono detenuti dalle istituzioni creditizie: secondo i calcoli dell’Abi, a fine 2004 le banche detenevano 31 miliardi di crediti corporate incagliati o inesigibili pari al 4,7% degli impieghi. Ma data la mancanza di un mercato secondario diffuso sui tagli di media dimensione, le strategie passive di acquisto dei crediti si concentrano sui tagli di grande dimensione e implicano competenze speculative di natura diversa, aveva infatti detto Argenziano nel suo intervento al seminario Aifi.
«Finora le banche tendevano a cedere interi portafogli di crediti in sofferenza, destinati poi ad essere cartolarizzati. Ma ormai non esistono quasi più grossi portafogli di una certa qualità e quindi a essere ceduti sono i crediti verso le singole entità», ha spiegato a MF Pe Luca Ramella, managing partner di Alix partners in Italia, società di consulenza per attività di ristrutturazione nota a livello mondiale. «Le banche italiane hanno ormai previsto adeguati accantonamenti a forte di questi crediti in sofferenza, ma resta un valore netto che deve essere ancora trasformato in una posta positiva reale e per questo le banche sono molto interessate a cederli agli investitori specializzati, che non sono soltanto fondi di private
equity appunto specializzati in acquisto di distressed asset, ma anche specifiche divisioni di banche internazionali. Il business è che tutti in un modo o nell’altro lo vogliono cogliere. Certo, però, bisogna essere strutturati per farlo, ci vuole un management adatto, in grado di risollevare l’azienda una volta acquisitone il controllo acquistandone i debiti», ha spiegato ancora Ramella, che ha ricordato che Alix ha curato di recente l’operazione di ristrutturazione finanziaria e di rilancio industriale di Jal, società di Novara leader in Europa nella produzione di calzature professionali di sicurezza con un fatturato di oltre 180 milioni di euro, oltre 4 mila dipendenti e più di 10 milioni di calzature vendute nel mondo con i marchi Jallate, Auda, Impact, Lupos, Almar, Princetown, Aimont e Forver. Ebbene Jal è stato acquisito da un consorzio di investitori finanziari statunitensi e inglesi tra i quali Bank of America and Goldman Sachs, con un’operazione che ha coinvolto anche i debiti della società.
Detto questo, l’attività di turnaround è comunque destinata a crescere in maniera importante. La concorrenza tra fondi è infatti sempre più forte e ci sono molti capitali da investire. Nel prossimo futuro, quindi, gli investitori in private equity dovranno trovare nuove tipologie di impiego che possano sostenere i rendimenti del settore in presenza di una riduzione dei rendimenti attesi sulle categorie di investimento tradizionali.
In Italia esistono moltissime opportunità tra le imprese non performing. Argenziano ha citato una ricerca riferita a fine 2004 che individua 8.283 imprese con fatturato superiore ai 30 milioni di euro. Oltre la metà sono imprese medie e piccole nella fascia tra i 30 e i 60 milioni di euro. Il 51% del totale, pari a 4.195 imprese, hanno un indebita mento netto superiore a 3,5 volte il margine operativo lordo, ben il 15% ha un margine operativo negativo e il 9% circa soddisfa entrambe queste condizioni. Non solo. Il 60% delle aziende con Ebit negativo ha anche un indebitamento superiore a 3,5 volte l’Ebitda. «Esiste quindi uno spazio di intervento rilevante per gli investitori nel risanamento d’impresa. Spazio che sarà ampliato dall’entrata in vigore delle procedure di affidamento previste da Basilea II che sortirà un ulteriore incremento del costo del credito per le piccole e medie imprese», aveva concluso Argenziano, aggiungendo anche che «esiste un numero adeguato di top manager che hanno maturato esperienza di risanamenti aziendali in settori specifici che preferiscono tentare l’esperienza imprenditoriale in aziende da rilanciare piuttosto che operare nell’ambito di grandi gruppi. Parallelamente tra i professionisti del private equity stanno maturando competenze di gestione di portafogli di imprese non-performing».
Chi già è sul mercato e chi ci sta arrivando. Mentre Argenziano ha appena iniziato il fundraising e ancora deve pensare al nome del suo fondo, c’è chi è ben più avanti. Pochi giorni fa, per esempio, Atlantis capi- tal special situations spa ha annunciato di aver terminato il primo closing di raccolta di capitali a quota 58 milioni di euro. Il management team, composto da Raffaele Legnani, Francesco Sogaro e Maurizio Cei, farà acquisire alla società partecipazioni di controllo in piccole e medie imprese italiane (con un fatturato compreso tra i 30 e i 150 milioni di euro) che necessitano di interventi di ristrutturazione finanziaria o di turnaround operativi incentrati principalmente su piani di riorganizzazione societaria (dismissioni e spin-off) e/o di ristrutturazione dei costi (downsizing, delocalizzazione e outsourcing), ma grazie ad accordi di co-investimento con i propri soci, potrà esaminare anche dossier di dimensioni maggiori.